“Ha illuminato le nostre vite”: Papa Francesco, l’omelia dell’arcivescovo Corrado Lorefice

Sorelle e fratelli amatissimi, solo una settimana fa, nella Messa Crismale, così mi rivolgevo a voi: «Papa Francesco – a cui va il nostro pensiero affettuoso ed orante –, attribuisce all’Eucaristia che celebriamo nelle nostre comunità una forza terapeutica: “L’Eucaristia guarisce perché unisce a Gesù: ci fa assimilare il suo modo di vivere, la sua capacità di spezzarsi e donarsi ai fratelli, di rispondere al male con il bene. Ci dona il coraggio di uscire da noi stessi e di chinarci con amore verso le fragilità altrui. Come fa Dio con noi.
Questa è la logica dell’Eucaristia: riceviamo Gesù che ci ama e sana le nostre fragilità per amare gli altri e aiutarli nelle loro fragilità. E questo, durante tutta la vita» (Angelus, 6 giugno 2021). Sono trascorsi pochi giorni e siamo ancora una volta riuniti per celebrare l’Eucarestia, ma stasera chiediamo al Signore di essere guariti dalla tristezza e dal dolore per la scomparsa del nostro caro Papa Francesco, nella certezza che la Pasqua che celebriamo è anche la sua Pasqua, la Pasqua del nostro Santo Padre. «Questa è la logica dell’Eucaristia: riceviamo Gesù che ci ama e sana le nostre fragilità per amare gli altri e aiutarli nelle loro fragilità». Imprimiamo – carissime e carissimi – tali parole nei nostri cuori, nella nostra carne, e questo sarà il più profondo, genuino ricordo di Lui.
Sarà anche il segno della nostra gratitudine al Padre, che ci ha donato per dodici anni questo Papa «venuto da lontano», diventato l’amico di ogni uomo. Tutti abbiamo sempre pensato a Lui come all’uomo buono, fraterno e paterno, l’uomo comprensivo e aperto che avremmo voluto incontrare. Anche coloro che non mettevano in pratica i suoi insegnamenti di disarmo, di pace, di attenzione agli ultimi lo rispettavano, lo ritenevano un “uomo buono che amava e lavorava per l’umanità”. Sì, perché Papa Francesco, con la vita e con le parole, ci ricordava sempre che il Risorto volge lo sguardo agli ultimi, agli abbandonati, a coloro che nessuno vede. Ci ha invitati sempre e ci ha mostrato come attuare le parole del Signore: volgere lo sguardo verso i ‘trafitti’ della storia, coloro che nessuno vede. Questo è stato uno dei grandi insegnamenti evangelici di Papa Francesco: vedere chi non è visto. Fedeli alle parole di Gesù: “L’avete fatto a me” (cfr Gv 13,15). Lo zoppo che nessuno ormai vede, la cui infermità è data per scontata, viene ‘visto’ dagli Apostoli, nel racconto degli Atti: «Guarda verso di noi» (3,4).
Così è stato Francesco: uno da cui chi credeva di non contare nulla, e di non poter essere guardato da nessuno, si è sentito visto. Sono stati commoventi i racconti dei ‘senza tetto’ a cui Francesco ha messo a disposizione un palazzo, dei servizi igienici, un ambulatorio medico nei pressi del colonnato di San Pietro. Uno di essi diceva: “La mia vita è cambiata perché lui si è accorto di me”. Guardare con occhi nuovi, pieni di compassione, il dolore dell’altro, non abituarsi mai alle ingiustizie, alla miseria, alla povertà: questo il magistero peculiare di Papa Francesco.
E poi, come diceva il nostro Beato Martire Don Pino Puglisi, si impara ad amare Dio e come Dio sempre attraverso qualcuno. Questa volta possiamo dirlo a voce alta: in questi dodici anni è stato Lui, Papa Francesco, a insegnarci a vedere come vede Dio. La foto che circola poco in questi giorni ma che forse è la più significativa è la carezza del Papa al volto di Vinicio Riva, sfigurato da una malattia rara e terribile. Nella foto di Papa Francesco che carezza Vinicio – scatto che fa accapponare la pelle – abbiamo imparato ancora una volta che nessuna ferita, nessuna bruttura del corpo e dell’anima può impedire a Dio di accarezzarci e di comandarci di prestargli le mani per continuare ad accarezzare. E lo sappiamo, perché questo gesto di Dio, questo sguardo del Padre, abbiamo visto nelle mani, nel volto e nel sorriso di Papa Francesco. Anche di fronte al peccato la sua frase era: “Chi sono io per giudicare” (cfr Mt 6,37), oppure: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra” (cfr Gv 8,7). Parole e vita al sapore di Vangelo!
Pure noi, nel nostro cammino come Chiesa di Palermo, siamo stati raggiunti amorevolmente dallo sguardo di Papa Francesco. Con amicizia, con comprensione, con fiducia. Lo dico con commozione, con pudore e gratitudine intima: io per primo mi sono sentito ‘visto’, ‘scovato’ da Lui. E questo suo sguardo mi ha dato forza, mi ha ricordato lo sguardo di Dio su di me e nello stesso tempo mi ha dato la gioia di guardare voi, ognuno di voi, e di andare a cercare – anche se non sempre ci sono riuscito – coloro che non sono visti da nessuno. Quel 15 settembre 2018, qui, a Palermo, la Vergine Addolorata ci ha donato Papa Francesco, pellegrino nei luoghi del martirio del nostro – e suo! – Beato Pino Puglisi. Ha illuminato la nostra vita e ci ha aiutato ad attraversare anche i momenti bui, quelli in cui sembrava di non sentire più la carezza di Dio.
Sorelle e fratelli, l’Eucarestia è gratitudine: il Padre ha dato al Figlio, «obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,8), il dono della Risurrezione e il dono di una Sposa, la Chiesa. A Pasqua celebriamo queste nozze tra il Cristo e la Chiesa. Cristo è il nuovo Adamo, che ricostituisce la relazione tra gli uomini e Dio sotto il segno della fedeltà e dell’amore. La Chiesa è la sposa del Cristo, nuova Eva, «madre di tutti i viventi» (cfr Gn 3,20), Madre che va a cercare sul ciglio della strada della vita i feriti, gli smarriti, i confusi, i morti. Guardati da lei e guariti da Cristo, come già sapeva il Papa a cui Francesco è stato certamente più vicino per stile, per sentire, per ispirazione conciliare: Giovanni XXIII. Chissà se la luna era ancora presente nel cielo di Roma la mattina del Lunedì dell’Angelo, quando Papa Francesco ha detto il suo «tutto è compiuto»?
Credo che il ministero petrino di Papa Francesco può riassumersi nella parola rivolta ai discepoli da Gesù Risorto nel Vangelo di oggi: «Toccatemi!» (Mt 24,39). In questa parola c’è il senso di una vita concepita integralmente come un sopraggiungere per “stare in mezzo” (cfr Lc 24,36), un essere, un esserci per altri, per gli altri. «Mani» e «piedi» feriti dalla polvere del cammino per raggiungere, abbracciare, custodire; «labbra» per baciare i volti arsi dalla calura asfissiante del deserto della vita – provocato dal raffreddamento dei cuori per l’avanzare dell’iniquità («inequità» la chiamava Papa Francesco) (cfr. Mt 24,12) –, volti desiderosi della frescura e del riparo di una ‘notizia bella’, desiderosi di ‘E-vangelo’, di udire l’annunzio messianico: «Pace a voi» (Lc 24,37). Un Vangelo capace di dare gioia e di radunare fratelli e sorelle quali commensali di un pasto di convivialità e di rendimento di grazie, umile fermento di una famiglia umana radunata nella comune esperienza del perdono e della conversione all’Amore, avvinta da una pace stabile e duratura, pregustazione dello Shalom eterno che donerà il Principe della Pace, il Cristo Crocifisso e risorto, nel suo ritorno glorioso.
A Lui, all’Amore crocifisso, il nostro amato Santo Padre Francesco si è affidato fino alla fine, senza mai risparmiarsi, senza cautelarsi in alcun modo. Ha vissuto la Settimana Santa come prudenza non avrebbe voluto, ma secondo il suo grande cuore. Ha visitato, confortato, augurato, ringraziato, toccato e abbracciato, mettendo consapevolmente a repentaglio la propria ormai debole vita per la ‘follia’ del Vangelo, per la ‘follia’ della fede in una realtà più grande, per la ‘follia’ della speranza in un Dio che non delude. Non ha avuto paura di consegnarsi, fino alla fine, andando incontro alla morte, quasi a volerci dire: «La speranza ha cambiato il mio sguardo su ogni cosa» (J.-P. Jossua, Brevi nuove della terra e del cielo, 231). Un vero pellegrino della e nella speranza!
Per questa fede sappiamo che il Padre lo ha accolto e abbracciato. E nella sua fede anche noi leviamo la nostra preghiera e ci consegniamo al Signore con Lui. Grazie a questa speranza incrollabile, che lo ha sostenuto fino alla fine, per il nostro carissimo Francesco è ormai spuntata l’aurora. Nella sua speranza anche noi dimoriamo stasera, nell’attesa che spunti l’aurora del Regno sull’umanità e sulla creazione tutta. Nel loro grembo, Maria, Madre di Dio, prega con noi e per noi. Amen.