Ultim’ora dal Ministero della Salute: “Stai lontano da questo latte” | Al supermercato passa dritto e non comprarlo mai

Bottiglie di latte al supermercato - foto (C) teleone.it
Un virus che continua a diffondersi anche fra i bovini: cosa si sa, e cosa si deve fare
La paura è cresciuta parecchio, soprattutto negli ultimi mesi. Il rischio cui ci riferiamo, in particolare, è quello della diffusione dell’influenza aviaria negli allevamenti. Sono stati esperti ed Autorità sanitarie, in particolare nelle ultime settimane, ad aver espresso qualche dubbio e numerosi interrogativi. Oltre ai tradizionali rischi legati al pollame, infatti, la nuova allerta riguarda la presenza del virus nel latte crudo, con possibili implicazioni per la Salute pubblica e l’industria lattiero-casearia.
Nelle primissime analisi che sono state condotte in alcuni allevamenti colpiti, il virus H5N1 è stato rilevato in campioni di latte non pastorizzato. Sebbene non vi siano ancora prove certe di trasmissione all’uomo attraverso il consumo di latte, il rischio non può essere escluso.
E’ chiaro, in questo momento, che la contaminazione del latte solleva interrogativi anche sul benessere animale e sulle misure di biosicurezza che vengono quotidianamente adottate nelle singole aziende agricole di un po’ tutto il nostro Paese. Inutile sottolineare, in casi come questo, che la diffusione del virus tra le mucche potrebbe avere delle ripercussioni economiche parecchio significative per il settore lattiero-caseario, che è già provato da recenti crisi sanitarie e logistiche.
Prima di entrare nel dettaglio della questione, in ogni caso, una delle prime raccomandazioni da parte delle autorità sanitarie di cui parleremo più avanti, è quella di evitare il consumo di determinati prodotti e sceglierne altri che garantiscono in questo senso maggiore sicurezza. Si è evidenziata, negli ultimi tempi, anche una necessità ben precisa, ovvero quella di rafforzare i protocolli di sorveglianza, implementare test più accurati e adottare strategie di contenimento più efficaci per limitare la diffusione del virus tra gli animali da allevamento.
L’allarme Aviaria: il virus che continua a diffondersi fra bovini
Nonostante il coinvolgimento di numerosi laboratori di ricerca, molti aspetti di questa epidemia restano un mistero. Uno dei principali interrogativi è il modo in cui il virus è riuscito a trasferirsi dagli uccelli ai bovini. Gli esperti ritengono che la diffusione possa essere iniziata ben prima della scoperta ufficiale, rendendo quasi impossibile identificare l’animale da cui tutto è partito. Una incertezza che, ovviamente, non fa che complicare anche la possibilità di adottare misure di prevenzione efficaci. Se non si capisce esattamente come avviene il contagio, anche il rischio che la situazione sfugga di mano è abbastanza concreto. Il virus è lo stesso che dal 2020 sta decimando gli uccelli in tutto il mondo, e di recente è stata identificata una nuova variante, denominata D1.1, che ha causato nuovi focolai.
Era esattamente il 25 marzo 2024, quando il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (Usda) ha segnalato i primi casi di influenza aviaria H5N1 tra i bovini da latte in Texas e Kansas. Da allora, i focolai si sono moltiplicati in numerosi Stati, e almeno 70 persone sono state infettate, con un decesso confermato. Il virus dell’Aviaria, dunque, ha certificato di aver fatto il salto di specie dai volatili ai bovini, e adesso desta preoccupazione anche per la salute umana.

La situazione dalle nostre parti e le contromisure
Un aspetto particolarmente misterioso riguarda il fatto che i bovini infetti si trovano esclusivamente negli Stati Uniti, mentre in Europa – nonostante l’ampia diffusione del virus tra i volatili – non si registrano casi simili. Secondo un esperto della Kansas State University, la spiegazione potrebbe risiedere nelle pratiche di allevamento. Negli USA, fino a 50mila bovini da latte vengono spostati ogni settimana da un allevamento all’altro, spesso percorrendo grandi distanze. In Europa, invece, gli allevamenti sono più piccoli e il trasporto del bestiame è molto più limitato. Nel nostro continente, in particolare, il virus H5N1 è stato identificato nel latte di una pecora in un allevamento del Regno Unito, ma il caso sembra essersi risolto senza ulteriori contagi. Questo suggerisce che la struttura del settore zootecnico europeo potrebbe offrire una protezione naturale contro la diffusione dell’epidemia.
Le Autorità europee hanno condotto migliaia di test su bovini in Paesi come Italia, Norvegia, Olanda, Regno Unito e Svezia, senza riscontrare alcun caso di infezione o presenza di anticorpi. Altro punto “oscuro” è il modo in cui il virus si insedia nelle mammelle delle vacche: secondo alcuni esperti questo potrebbe essere avvenuto attraverso attrezzature veterinarie (come quelle per l’inseminazione artificiale) fenomeno già osservato nel 2016 in Norvegia con un ceppo di H1N1 nei tacchini. Fra le prime raccomandazioni agli statunitensi, è stata fatta quella di evitare il consumo di latte crudo. Di certo, al momento si rimane in attesa di evoluzioni sulle analisi, ma soprattutto sullo studio dei “perché” delle anomalie riscontrate negli Stati Uniti: soltanto così potranno arrivare risposte più chiare, che abbiano anche il potere di allontanare definitivamente anche la paura.