Ultim’ora: scuole chiuse per ogni grado e istruzione | L’Italia ha deciso: porte sbarrate a tempo indeterminato

La scuola rimane chiusa - foto (C) teleone.it

La scuola rimane chiusa - foto (C) teleone.it

Questa volta è deciso, e non si torna indietro: fra poco le scuole chiudono tutti i cancelli.

Non è soltanto una questione che riguarda gli stipendi, ma in questo caso è in ballo, come sottolineano gli organizzatori, l’intero futuro della scuola pubblica italiana. Tante le ragioni per cui si arriva ad aprile con un preciso obiettivo, quello di far suonare la “sveglia” per il Governo, e per un contratto che, secondo i sindacati, peggiora le condizioni lavorative di chi lavora nella scuola.

Ed è per questa ragione – e per tante altre – che il 4 aprile prossimo, sarà il venerdì della prossima settimana – la scuola è stata chiamata a “fermarsi” totalmente. In piazza scenderanno sia i docenti che il personale ATA. La protesta è, appunto, finalizzata al netto rifiuto di un contratto che lascia scontenti in molti. Ma andiamo a spiegare quel che sta accadendo. La contrattazione nel Pubblico Impiego ha visto l’USB protagonista di una lotta che ha influenzato anche CGIL e UIL, portandole a non firmare il contratto delle funzioni centrali.

E una situazione analoga si è verificata nei settori della Sanità e delle Funzioni locali. Adesso, invece, tocca proprio alla scuola, con oltre un milione di lavoratori coinvolti. Ma la grande protesta non nasce soltanto per una questione che riguarda “stipendi insufficienti”.

Il nuovo contratto introduce un middle management con tutor e orientatori che opereranno come intermediari tra la dirigenza e il corpo docente, aumentando le disuguaglianze all’interno delle scuole. Se le cose vanno come previsto, dunque, si prospetta una giornata di totale caos e di “stop” generale per le scuole, con banchi vuoi e studenti fuori dai cancelli. Ma andiamo ad approfondire quali sono alcune delle difficoltà emerse nel settore, e i perché delle proteste.

Ma intanto, i guadagni degli italiani sono fra i più bassi d’Europa

Ad ogni modo, quel che certifica l’OCSE è un dato abbastanza allarmante, dal quale si può partire per intuire lo stato d’animo generale. Gli stipendi dei docenti italiani, infatti, sono tra i più bassi d’Europa. Una situazione che, con l’attuale inflazione, si fa sempre più critica. Proprio secondo l’ultimo rapporto, gli insegnanti italiani guadagnano meno rispetto ai colleghi europei, con differenze significative rispetto a paesi come Germania, Francia e Spagna. A peggiorare la situazione, un’inflazione al 16% che erode il potere d’acquisto.

I contratti pubblici, non adeguati all’aumento del costo della vita, non garantirebbero più, di conseguenza, un reddito “dignitoso”. Il governo ha proposto un incremento del 5,78%, una percentuale insufficiente a colmare il divario con l’inflazione reale. In altre parole, gli stipendi dei docenti italiani subiranno un’ulteriore perdita di oltre il 10%, rendendo la professione sempre meno attrattiva per i giovani laureati.

Protesta Usb scuola - foto teleone.it
Protesta Usb scuola – foto teleone.it

Una protesta che viene definita “necessaria”, e fra due settimane si ferma tutto

Sono diverse, dunque, le ragioni del malcontento. E i sindacati fanno aumentare notevolmente le motivazioni secondo le quali il nuovo contratto debba essere assolutamente rifiutato. L’USB ha risposto all’appello di studenti e lavoratori, convocando lo sciopero generale della scuola per il venerdì della prossima settimana, il 4 aprile. Le manifestazioni principali si terranno a Roma, in viale Trastevere, ma la protesta si ripeterà anche in numerose altre città italiane.

Al malcontento generale, ed oltre all’organizzazione dello sciopero del 4, c’è in programma anche un altro appuntamento decisivo, che è rappresentato dalle elezioni per il rinnovo delle RSU, in programma dal 14 al 16 aprile. Si tratterà, anche in questo caso, di un’altra occasione per riportare al centro il valore della scuola pubblica e far sentire la voce di chi ogni giorno lavora nelle aule. Secondo gli organizzatori, insomma, sarebbe questo il momento giusto per passare dalla rabbia all’azione concreta. La scuola pubblica, in poche parole, deve tornare a essere un luogo di crescita, e non un settore sempre più “precarizzato”.