Cultura e Spettacoli
Palermo, Paolo Sorrentino “si racconta” al pubblico del cinema Rouge et Noir
La proiezione del suo capolavoro più recente per “raccontarsi” a 360 gradi alla platea del Rouge et Noir
L’abbraccio di Palermo a uno dei grandi del cinema italiano (e non solo), in città per assistere alla proiezione del suo capolavoro più recente e raccontarsi a 360 gradi alla platea del Rouge et Noir: quello di Paolo Sorrentino non è un monologo, bensì un dialogo con Gian Mauro Costa (giornalista e direttore artistico del cinema) e con tutti i presenti, per parlare di Parthenope (proiettato due volte nell’arco della giornata, alle 17 e alle 21) e in generale di una carriera ad altissimo livello.
Dieci film, un Oscar vinto per il miglior film straniero (nel 2014 con La grande bellezza) e altri due sfiorati (nel 2009 con Il divo per il miglior trucco e nel 2022 con E’ stata la mano di Dio ancora per il miglior film straniero), ma soprattutto un legame inscindibile con la città natale, divenuta centrale nelle ultime due proiezioni. La più recente, non a caso, si chiama Parthenope proprio in onore di Napoli: un omaggio che ha già riscosso grande successo nelle sale italiane e che condensa al proprio interno sogno e realtà, bellezza e dannazione, sensualità e provocazione, sensibilità e intensità.
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Nel raccontare la genesi del film, Sorrentino evidenzia come “ci ho messo cinque anni per arrivare a tutto questo, perché non riuscivo a trovare una chiave che mi soddisfacesse nella scrittura: l’idea di base era fare tre film sulla stessa figura, ma poi ho pensato che mi sarei annoiato. Ammetto di non aver approfondito il mito di Parthenope, trovo che queste narrazioni siano troppo astratte: all’inizio volevo che questo film fosse il contenuto del romanzo del protagonista di La grande bellezza, vale a dire ‘L’apparato umanò, ma poi ho preferito non autocitarmi”.
Passando ai personaggi, sono due in particolare quelli si sofferma il regista: Parthenope, interpretato da Celeste Dalla Porta, e un magistrale Gary Oldman nel ruolo di John Cheever. “Parthenope è una figura che nel fingere di essere sedotta seduce – racconta, – La mia scena preferita nel film è il lungo cammino della protagonista e del camorrista nei vicoli della città. Celeste, oltre ad avere una notevole attitudine per l’accento napoletano, mi ha davvero convinto e da lì ci siamo lanciati; mi è stato utile mettere nel film il personaggio di Cheever, perché era una figura molto tormentata che lottava per essere libero e poi l’ho messo in contrasto con la protagonista, che ha scoperto la massima espressione della libertà giovanile”.
Quando arriva il momento di parlare della sua attività cinematografica a tutto tondo, il regista napoletano ci scherza un pò su: “Rivedo i miei film solo prima di fare i successivi, per non ripetere gli errori che ho fatto: mi sono sempre divertito a guardarli dopo l’uscita nelle sale, anche se ho un pò di paura che non vadano bene, cosa che penso sia normale per chi fa questo mestiere. Segno su un quaderno tutto quello che mi diverte e cerco di farlo rivivere in un film”.
Sorrentino si sofferma infine sui punti in comune tra Palermo e Napoli: “Non conosco benissimo Palermo, ma c’è grande assonanza con la mia città: sono due realtà del sud e di mare e questo mi fa sentire a casa. Napoli è stata allenata a essere amorale, perchè nella sua storia si è liberata della morale pur di sopravvivere, e questo aspetto emerge in modo importante da Parthenope”.
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