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Cronaca

Mafia e clan Ercolano, 23 arresti: preso il boss che agiva “sottotraccia”

Tra i destinatari anche esponenti di vertice del clan, compreso il nuovo reggente di Cosa nostra di Catania

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Blitz antimafia della polizia, che esegue un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 23 persone, indagate nell’ambito dell’inchiesta Ombra della Dda di Catania contro appartenenti della frangia degli Ercolano, che con la cosca Santapaola compongono la famiglia di Cosa nostra etnea.

Tra i destinatari anche esponenti di vertice del clan, compreso il nuovo reggente di Cosa nostra di Catania.

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Il provvedimento ipotizza a vario titolo i reati di associazione mafiosa, estorsioni, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, porto e detenzione illecita di armi da sparo, usura, lesioni personali aggravate dall’uso di armi da sparo.

Il provvedimento del gip, emesso su richiesta della Direzione distrettuale antimafia della Procura distrettuale etnea, è eseguito da personale del Servizio centrale operativo e della Squadra mobile della Questura di Catania con il coordinamento della Direzione centrale Anticrimine della Polizia.

Un boss “riservato”, che preferiva restare sottotraccia, in quell”Ombra’ che ha dato il nome dell’operazione antimafia della polizia a Catania contro Cosa nostra etnea.

Francesco Russo, 51 anni, preferiva avere un ruolo apparentemente delineato nel mondo della criminalità organizzata, mentre, secondo la Dda di Catania era diventato il reggente della ‘famiglia’ Santapaola dopo un riassetto dei ruoli apicali dell’organizzazione.

Si tratta di quanto emerso dall’inchiesta dell’operazione ‘Ombra’, che ha portato all’arresto di 23 indagati: 18 in carcere e cinque agli arresti domiciliari. Per due persone il gip ha disposto l’obbligo di dimora. Russo, ricostruisce la Dda di Catania, “nonostante il ruolo di vertice che avrebbe ricoperto nel sodalizio, decideva di ‘operare nell’ombra’, seguendo un rigoroso modus operandi che ne assicurasse la riservatezza e la distanza dalle frange più strettamente operative e quindi esposte al rischio di indagini”.

Nuovi vertici, osserva la Procura, che “manifestavano la certa propensione a ricorrere sistematicamente alla violenza come strumento per ribadire la loro autorità criminale nei territori di loro ‘competenza’ mafiosa”. Tanto da fare irruzione, il 26 agosto del 2023, in uno stabilimento balneare di Aci Castello colpendo con violenza e ripetutamente al capo col calcio della pistola alcuni dei presenti, minacciandoli con l’arma puntata al volto. Il successivo 9 settembre, sempre il gruppo della Stazione, avrebbe anche aggredito e minacciato di morte un giovane Santapaola, parente alla lontana della famiglia dello storico capomafia Benedetto, spiegando alla vittima che “nei suoi confronti non erano stati adottati provvedimenti più duri solo in virtù del suo cognome”. Il 31 ottobre del 2023 lo stesso reggente Francesco Russo, dismettendo la consueta riservatezza, avrebbe gambizzato un uomo come “ritorsione per avergli mancato di rispetto durante un diverbio in ambito lavorativo”.

Il ricorso alla violenza da parte degli esponenti di Cosa nostra catanese come strumento di affermazione sul territorio, ricostruisce ancora la Dda, portava a diversi episodi di fibrillazione con esponenti del contrapposto clan Cappello – Bonaccorsi, uno dei quali sfociava nella sparatoria avvenuta il 21 ottobre del 2023 nella zona del ‘Passarello’ del rione San Cristoforo, storica roccaforte della cosca rivale, quando un esponente del clan Cappello-Bonaccorsi, Salvatore Pietro Gagliano, avrebbe esploso alcuni colpi d’arma da sparo contro alcuni esponenti del gruppo della Stazione. Quest’ultimo avrebbe progetto di uccidere Gagliano nonostante una serie di riunioni mafiose tra gli esponenti di vertice delle due organizzazioni per appianare il contrasto e scongiurare ulteriori e pericolose degenerazioni armate.

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